Il Tribunale di Lucca, con sentenza n. 307 del 2 dicembre 2021, si è pronunciato in merito alla richiesta di risarcimento danni avanzata nei confronti del datore di lavoro da una dipendente, la quale, nello svolgimento delle sue mansioni di cassiera di supermercato, era stata colpita con arma da fuoco da un malvivente durante una rapina.
Una lavoratrice, cassiera presso un supermercato, si rivolgeva al Tribunale di Lucca, in funzione di Giudice del Lavoro, esponendo che nel 2014, mentre era addetta alla cassa, era stata colpita da un rapinatore con un fucile a canne mozze; di conseguenza, era stata ricoverata in ospedale, successivamente aveva dovuto sottoporsi a intervento di chirurgia plastica in anestesia generale per rimuovere almeno parte dei pallini di piombo rimasti nel corpo, era poi rimasta assente dal lavoro per malattia per vari mesi e aveva dovuto subire cure, anche psicoterapiche, pesanti fisicamente, psicologicamente ed economicamente.
La lavoratrice sosteneva che il datore di lavoro avesse omesso di predisporre misure idonee a tutelare la sua salute e sicurezza durante lo svolgimento dell’attività lavorativa, deducendo che il supermercato fosse privo di misure di sicurezza, nonostante ripetute richieste in tal senso da parte dei dipendenti e del direttore. Pertanto, chiedeva al giudice di accertare la responsabilità del datore di lavoro nella causazione dei danni patrimoniali e non patrimoniali da ella patiti, e di condannarlo a risarcirle detti danni.
Si costituiva in giudizio la società datrice di lavoro, chiedendo il rigetto delle domande della lavoratrice, sostenendo che l’azienda non fosse responsabile dell’accaduto, ascrivibile, invece, al comportamento tenuto dalla dipendente. Secondo la ricostruzione dei fatti data dalla società, infatti, durante la rapina la cassiera aveva opposto resistenza, cercando di chiudere il cassetto del registratore di cassa, e aveva reagito inveendo contro il rapinatore anche quando ormai questi si era allontanato dalla cassa per fuggire, scatenando in tal modo la reazione del malvivente, che aveva fatto fuoco. Evidenziava la società che la condotta della cassiera, in tale occasione, risultava contraria a quanto disposto da apposita procedura aziendale, in cui veniva spiegato ai dipendenti come comportarsi nel corso di una eventuale rapina, per ridurre il rischio di violenza da parte dei malviventi; che tale procedura era stata elaborata a seguito di analisi del rischio dei propri supermercati, effettuata dall’azienda pochi mesi prima della rapina, analisi da cui non era emersa una pericolosità del punto vendita a cui era addetta la ricorrente; e che la lavoratrice ben sapeva che il supermercato era coperto da polizza assicurativa per il caso di rapina.
Per decidere la controversia, il Tribunale ha ricordato che, secondo la giurisprudenza di legittimità, l’art. 2087 cod. civ. – che impone all’imprenditore di adottare tutte “le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” – non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro, di natura contrattuale, va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento. Il datore di lavoro è tenuto a prevenire anche le condizioni di rischio insite nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia dei dipendenti, con l’unico limite del c.d. rischio elettivo, inteso come contegno del lavoratore “[…] abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento e creare condizioni di rischio estranee alle normali modalità del lavoro da svolgere […]” (Cassaz. 13 gennaio 2017, n. 798).
Nel caso di specie, il giudicante ha ritenuto che, dall’istruttoria svolta, non fosse risultato provato quanto dedotto dalla ricorrente in merito alla pericolosità del supermercato e alle richieste dei dipendenti all’azienda di attivazione di misure di sicurezza. Di contro, era emerso che la società teneva sotto controllo i vari punti vendita, monitorando furti e rapine; che presso il supermercato, a cui era addetta la ricorrente, non si erano in precedenza verificate rapine e, anche guardando agli altri punti vendita della società, mai si erano verificate rapine con arma da fuoco; e che la società si era adoperata per garantire la sicurezza dei dipendenti, anche predisponendo una procedura con i comportamenti da tenere in caso di rapina e informando i dipendenti dell’esistenza di una polizza assicurativa, affinché essi evitassero di mettere a rischio la propria incolumità personale per proteggere il patrimonio aziendale.
Quanto alla dinamica dei fatti, era risultato che la cassiera aveva cercato di trattenere i soldi quando il rapinatore li stava sottraendo dal cassetto e cercato di richiuderlo, ma soprattutto, quando ormai il malvivente era arretrato verso l’uscita, si era alzata, aveva urlato contro di lui e fatto cenno di scagliargli qualcosa; e questo comportamento risultava aver causato la reazione del rapinatore, che solo a quel punto aveva fatto uso dell’arma che aveva con sé.
Pertanto, il giudicante ha ritenuto che, da un lato, non fossero ravvisabili nel comportamento tenuto dalla società profili di inadempimento per poter affermare la sua responsabilità ex art. 2087 cod. civ.; e che, dall’altro lato, l’esplosione del colpo da fuoco da parte del rapinatore risultasse piuttosto conseguenza del comportamento aggressivo assunto dalla ricorrente, che funzionale all’effettuazione della rapina.
Per queste ragioni, il Tribunale ha rigettato le domande della lavoratrice.
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